La potenzialità di rivoluzionare il mondo che vive in ogni nuovo nato, è la stessa che possiede chi lo accoglie alla nascita.

“Università: dal latino universitas- atis, universalità, totalità, l’insieme; istituzione e struttura didattica e scientifica di ordine superiore, pubblica o privata, articolata in facoltà, corsi di laurea, dipartimenti e istituti, che ha il compito di rilasciare titoli accademici e professionali giuridicamente riconosciuti a chi conclude positivamente i vari corsi” (Treccani).

Il titolo che mi è stato rilasciato quasi un anno fa è Laurea di I livello in Ostetricia, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia; è un titolo professionale: è come dire “da oggi sei ostetrica, la legge ti riconosce come tale e ti abilita all’esercizio della professione” (previa iscrizione all’Albo, compilato e tenuto dal Collegio nella cui circoscrizione rientra la città di residenza o di esercizio).

Necessitando di iscrizione all’Albo, la mia, la nostra, è una professione intellettuale e sono definite professioni intellettuali le professioni basate sull’esercizio di attività lavorativa a prevalente contenuto intellettuale e incidenti su diritti e valori costituzionali, su beni e risorse di interesse generale e collettivo e aventi consistente rilevanza sociale (Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, Riforma delle professioni).

Il mio corso di laurea quindi non si limitava a farmi conseguire un titolo, ma consisteva nella trasmissione di un sapere che facesse di me una professionista, che facesse del mestiere che stavo imparando una professione intellettuale, che facesse di un’ostetrica laureanda una donna consapevole che il proprio lavoro si sarebbe concretizzato inequivocabilmente su beni e risorse collettive (le donne e le famiglie) e avrebbe agito sempre e comunque su diritti e valori costituzionali (diritti inviolabili dell’uomo, diritto alla salute); più di altri corsi di laurea, forse, verteva indirettamente sul peso delle responsabilità di cui avremmo dovuto farci carico, sulla potenzialità di ciò che stavamo apprendendo,  e sulla nostra capacità di farne una risorsa. Ma una risorsa a servizio di chi? Che avrebbe portato dove? Qui sta il punto. Il mio non è stato soltanto un corso di laurea, è stato un fluire di conoscenze che hanno fatto di me (di noi) la detentrice della chiave per scrivere la storia, depositaria di un sapere scientifico che si compie sulle donne e che, trasmesso a loro, si fa forza, cultura, riscatto, consapevolezza, indipendenza, libertà. Questo sapere in potenza, limitato a pochi, necessita di voci e mani per diventare strumento che faccia cultura in atto tra le donne, che renda ogni donna ostetrica per se stessa. A questo punto il cambiamento sarebbe irrefrenabile e travolgente: si smetterebbe di delegare ad altri, mettendosi, inermi, in mani estranee e si percorrerebbe il cammino del rifiuto dell’asservimento al controllo maschile, il cammino delle scelte libere e consapevoli, il cammino del pieno controllo di sè, massima espressione del libero arbitrio, prerogativa esclusiva dell’essere umano.

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