Il potere della promessa

Hannah Arendt

L’incertezza, anziché la fragilità, diventa il carattere decisivo delle cose umane.

…il fardello dell’irreversibilità e dell’imprevedibilità, da cui il processo dell’azione trae la sua vera forza.

[Gli uomini] sanno che chi agisce non sa mai ciò che sta facendo e diventa sempre “colpevole” delle conseguenze che non ha mai inteso provocare o nemmeno ha previste, che, per quanto disastrose e inaspettate siano le conseguenze del suo gesto, non può annullarle…

Non c’è campo dove l’uomo appaia meno libero che in quelle facoltà la cui vera essenza è la libertà.

HANNAH ARENDT, Vita activa. La condizione umana. Milano, Bompiani, 1964

Viviamo in un mondo plurale fatto di eguali, posseduti dalla libertà di farci, invasi dalla forza dirompente dell’unicità, accesi dalla consapevolezza di essere, io, tu, ognuno, progenitore potenziale di cambiamenti unici e irreversibili, come energia che da me arriva a te, al mondo, e altera, deforma, fagocita, contamina, plasma, crea, incide, marchia.  La potenza del novum, dell’azione, che nasce e vive in ogni uomo, risiede qui. Siamo milioni di atomi assemblati in forme umane destinati a non passare inosservati.

Questo sogno di onnipotenza ed eternità sembra vacillare, soffocato dall’ imprevedibilità e dall’ irreversibilità in esso intrinseche, date dal fatto che l’azione semplicemente non ha fine. La fiamma che alimenta la libertà di agire e creare inizi nel mondo è la stessa che la logora, se appena ci si ferma a pensare al domani che non ci è dato conoscere e di cui saremo, comunque, ritenuti responsabili. Questa energia che si alimenta e si consuma da sé, spesso spinge alla passività, al non fare, all’ immobilità, così che per paura di innescare effetti e conseguenze ingestibili e insopportabili, si preferisce non muovere un passo.

Mi sento incostante, inconcludente, infiammabile, effimera. Saltello nella vita trascinandomi verso un domani sterile che sarà soltanto un giorno più di oggi. Mi vendo agli occhi degli altri sotto una luce che non mi appartiene, fatta di sogni e soddisfazioni impalpabili, inesistenti, eterei.  So dove vorrei arrivare ma non trovo la strada, neanche la cerco, me ne resto immobile a guardarmi senza piacermi, vergognandomi di cosa sono: l’incertezza mi abbaglia.

Ma il cammino può essere segnato, diventare rassicurante, attraente. Mi è stato possibile incanalare un inizio in margini orientati, che guardavano all’ obiettivo: tramite la promessa. Promettere ha significato dar voce ad un pensiero, farlo discorso, parola, gesto, rivolti a qualcuno, promettere ha tagliato i fili del tempo. E’ stato come strappare una gemma informe al mio mondo interiore, privato, invisibile, mio, ed esporla ai mondi altrui, renderla passibile di giudizio, elogio, critica: renderla umana, fonte di aspettative. Promettere obbliga a promettersi, a vincolare la propria esistenza non solo agli altri, ma anche a se stessi; quando si promette, ci si impegna a mantenersi fede: “senza essere legati all’adempimento delle promesse, non riusciremo mai a mantenere la nostra identità” (ibidem). E’ l’unico modo per non perdersi.

Promettere è diventato il “la”, l’inizio stesso dei miei inizi e lo è diventato anche e soprattutto perché non può prescindere dagli altri. La curiosità mi porta a voler incontrare e ricercare continuamente esperienze e vissuti di altri, mi nutro dei loro racconti; attratta dal nuovo e da tutto ciò che è altro da me, mi spinge una sete implacabile che fa delle relazioni umane la fonte primaria del mio vivere. In una dimensione così dipendente dalla pluralità, la mia soluzione all’ immobilità e alla passività non può che essere plurale, non -individuale, non può vertere che su qualcosa che accentui lo spessore di un legame umano, così che la Presenza diventa vincolante, forza generatrice, forza di farsi atto e agire.

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